lunedì 4 febbraio 2008

Vendicari - II


Una tradizione dei miei anni in Sicilia è stata quella di trascorrere il primo giorno dell'anno a Vendicari, armato degli avanzi della focaccia ripiena, la squisita "impanata" che in casa dei miei nonni avolesi (e adesso degli zii) è la pietanza con la quale da sempre si saluta l'ultima cena dell'anno.

Da solo o con la mia ragazza, che adesso è divenuta mia moglie, seduto in riva ai pantani, al tepore del sole che a Siracusa raramente manca il Capodanno, sbocconcellavo fette di gustosa impanata, resa ancora più gustosa dalla scarpinata, anche se fredda.

E sentivo che, ancora una volta, l'anno nuovo portava con se buoni motivi per scarpinare nuove giornate. Chè del resto, nello zainetto, c'erano sempre due o tre cose buone da assaggiare, rese ancora più buone dall'amore che mia nonna prima e mia zia poi ci mettevano dentro. E c'erano gli aironi cinerini... la spiaggia, le canne, il sole, il mare di cristallo e l'aria buona di carrubbe e di deserto lontano. E, semisospesa sull'orizzonte, c'era azzurra ombra d'Africa.

Spesso mi sono sorpreso a pensar che, da morto, vorrei finire in cenere, sparso alla brezza di Vendicari. Niente lumini e fiori recisi, ma luna, stelle e gigli di mare.